“Il rovo è vitale quanto il drago dalle sette teste: per quanto strappi e decapiti, quello rispunta vigoroso. Oppure, astuto, alletta gli uccellini con more sugose, per farsi disseminare in ogni dove.” (Pia Pera)

 

Tutte le malerbe hanno un perché, e ogni giardiniere dovrebbe sempre lasciar loro un po’ di spazio, riconoscendone l’importanza nell’equilibrio dell’ecosistema. Il rovo ne è il re, quanto a invadenza. Però, per esempio, regala humus: un terreno abbandonato e invaso da quelle che in piemontese chiamiamo con un po’ di disprezzo “ronze“, riportato all’onor del mondo per essere coltivato, sarà ricco e fertile.

Il rovo è una pianta caducifoglia arbustiva della famiglia delle Rosacee, originaria dell’Eurasia. Può raggiungere i 2–3 m di altezza, ed espandersi altrettanto o anche di più in larghezza, attraverso nuovi lunghissimi getti che annualmente si sviluppano dalle radici. Ha foglie composte da 3-5 foglioline a lamina ovata od obovata, con margini seghettati e spinosi e apice acuto. I suoi fiori bianchi o rosati, che compaiono al principio dell’estate, sono composti da cinque petali e cinque sepali. Sono raggruppati in racemi a formare infiorescenze di forma oblunga o piramidale. Il colore dei petali varia da esemplare a esemplare, con dimensioni comprese tra i 10 e 15 mm. Le more, annoverate tra i frutti di bosco, sono composte ciascuna da numerose piccole drupe, verdi al principio, poi rosse e infine nerastre a maturità, che derivano ognuna da carpelli separati, ma che fanno parte di uno stesso gineceo.

I rovi nei giardini

Il rovo (Rubus spp.) non può mancare in un giardino naturale, dove gli alberi creano microclimi ombrosi e gli arbusti offrono il riparo necessario a certe piante più piccole, amanti dell’ombra. I cespugli di more crescono bene su qualsiasi terreno, sia al sole che all’ombra. Il roveto in genere si stabilisce permanentemente, grazie agli uccelli dei boschi, il cui sterco contiene i semi non digeriti delle more, che germinano spontaneamente. Soprattutto i pennuti più timidi fanno tesoro del boschetto spinoso e disordinato che cresce rigoglioso, riempiendo per bene gli spazi. I rami dei rovi sono inclinati verso il basso e, dato che radicano quando le cime raggiungono il suolo, è un continuo insediarsi di nuove piante, che, se ben gestite, svolgono un ruolo preparatorio per il ritorno della vegetazione forestale. I boschi non curati ne sono invasi, mentre nei giardini possono essere facilmente contenuti, con una buona potatura nel tardo inverno e tenendo a bada i rigetti per tutta la stagione vegetativa.

Possono essere usati come siepe barriera, tanto diventano fitti e impenetrabili. Un tempo erano sempre loro a delimitare proprietà e poderi, con funzioni principalmente difensive.

Una pianta utile in natura

Utili nell’associazione di specie antagoniste di parassiti delle colture, ad esempio quelle viticole, sono tra i protagonisti principali di quei corridoi ecologici che contribuiscono mantenere la biodiversità: nel groviglio protettivo dei rami di rovo nidificano numerose specie di uccelli, ricci e rospi si nascondono svernando sotto i cespugli. Le loro more sono un cibo ghiotto per tassi, volpi, piccoli roditori e uccelli, mentre i germogli teneri, durante l’inverno sono apprezzati dalle lepri.

Le siepi di rovo forniscono nettare alle api per la produzione di un miele anche monoflorale.

Gli utilizzi del rovo

I nuovi fusti, tagliati a gennaio e privati di foglie e spine, venivano un tempo utilizzati per fare cesti molto resistenti.

Nell’uso popolare, i giovani germogli raccolti in primavera, colti quando hanno spine ancora morbidissime e innocue, sono ottimi lessati brevemente e consumati con olio, sale e limone, come molte altre erbe selvatiche primaverili. Se colti quando il sole è alto, lavati e lasciati a macerare in una brocca di acqua fredda tutta la notte, producono una bevanda rinfrescante, profumata e depurativa. I gambi teneri, pelati e crudi o in infusione, vengono utilizzati con antidiarroici e in caso di coliche intestinali. I risciacqui con brodo di rovo sono stati usati anche per curare ulcere alla bocca, irritazioni alla gola o gonfiore delle labbra.

C’è rovo e rovo…

Rubus ulmifolius, Rubus fruticosus, Rubus caelsi… In realtà il genere Rubus L. è estremamente complesso anche per i botanici: sono poche le specie che si riconoscono con facilità, mentre la maggior parte presenta caratteri simili, spesso molto variabili e per di più con numerose forme intermedie dovute alla facilità di ibridazione. Evoca masse ingarbugliate, siepi inestricabili e impenetrabili, arbusti invasivi e incontenibili. E invece può riservare sorprese degne dei giardini più curati. Chi ha guardato queste piante e le loro potenzialità con occhi privi di pregiudizi è Mario Mariani, titolare del vivaio Central Park in provincia di Novara: ne ha raccolto una collezione di otre trenta specie di varia provenienza, in prevalenza asiatiche, per studiarne il comportamento nei nostri climi e il possibile impiego nei nostri giardini, scoprendo che alcuni, non solo non son infestanti, ma addirittura di difficile coltivazione. Ha trovato numerosi motivi di interesse estetico: le foglie sono diversissime da una specie all’altra, molte sempreverdi, altre con magnifiche colorazioni autunnali. Alcune hanno bellissimi fiori, altre frutti particolarmente buoni, o rami colorati dal rosso all’argento che li rendono molto decorativi in inverno. Con una grande varietà di portamenti, dagli striscianti ai tappezzanti ai più minuti, possono essere molto spinosi o totalmente senza spine.

In Italia il tempo delle more segna il declinare dell’estate, tra agosto e settembre. Sono frutti delicati, che mal si prestano a lunghe conservazioni. Hanno discrete proprietà nutrizionali in termini di fibra alimentare, vitamina C, vitamina K, acido folico, una vitamina B e il minerale essenziale manganese. Sono usate in erboristeria, per le loro proprietà astringenti e lassative. I semi contengono acido alfa-linolenico (Omega-3) e acido linoleico (Omega-6). Commercializzate per scopi alimentari al naturale e come guarnizione di dolci, yogurt e gelati, oppure nella confezione di marmellate, gelatine, sciroppi, vino e acquavite, alla fine la maniera migliore per gustare le more è quella che da sempre amano i bambini, raccolte dalla pianta proteggendo mani e braccia dalla spine, e direttamente gustate ancora calde di sole.

Leggi l’articolo completo qui: http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/natura/piante/item/6352-il-tempo-delle-more

Fonte: piemonteparchi.it