Le piante sono finalmente uscite dal cono d’ombra in cui la plant blindness, la dispercezione per cui tendiamo a non notarle in un determinato ambiente, le aveva confinate.

Ma spesso sono raccontate attraverso una lente antropomorfica. È da questa che nasce anche la domanda: le piante sono intelligenti?

Sono comparse sulla terra 450 milioni di anni fa. Dominano il nostro pianeta con la loro imponente biomassa: 450 gigatonnellate di carbonio contro le minimali 0,06 degli umani. Dipendiamo da loro per l’ossigeno che producono e per il cibo che ci danno. Sono le cruciali mediatrici della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, e questo valore è strettamente legato al cambiamento climatico. Sono le piante le attrici che – in ipotetico triangolo – legano la salute umana con la salute dell’ambiente nel contesto del One Health, la cui visione olistica è attualmente alla base di molte agenzie internazionali e nazionali.

Molti dei Sustainable Developmental Goals hanno direttamente o indirettamente identificato le piante come target di azioni specifiche. Importanti progetti europei come From Farm to Fork si fondano su un incrocio di ricerca, tecnologia, management il cui obiettivo è mantenere alta la produttività delle piante coltivate, pur riducendo drasticamente l’uso di pesticidi e fertilizzanti. La politica spesso usa il green come bandiera. Diamo spazio alla natura; usiamo un approccio rigenerativo. Nei paesi ancora fuori dalla guerra, questi sono gli imperativi per le generazioni più giovani e sensibili all’ambiente.

Per tutti questi motivi, da alcuni anni le piante sono finalmente uscite dal cono d’ombra in cui la plant blindness, la dispercezione per cui molti esseri umani tendono a non notare le piante in un determinato ambiente, le aveva confinate. Anche in Italia i non specialisti guardano alle piante con rinnovato interesse e rispetto. Tuttavia, a differenza della ricerca scientifica e dei testi universitari, dove l’obiettivo è capire i meccanismi, nella comunicazione stampata, nel web o nella pubblicità, lo spazio dato alle piante e al mondo, che ruota attorno a esse, mostra due letture dominanti. C’è una visione utilitaristica, per la quale le piante nei campi, nei boschi e nei giardini, sono viste non solo come sorgenti di cibo “naturale” che richiama il buon tempo antico, ma anche di bellezza, grazie a profumi e colori che allietano la vita. Grazie all’architettura contemporanea che sostiene boschi verticali, tetti verdi e orti urbani, le piante diventano le compagne della vita degli umani anche nell’ambiente urbano. Da sempre elementi ornamentali nella storia umana, dalle antiche civiltà del Mediterraneo al Liberty del XX secolo, le piante nel nostro XXI sono diventate ora attrici reali, come fossero dei mattoni, una parte integrante dell’architettura. L’altra lettura dominante guarda invece alle piante attraverso una lente antropomorfica, che permette la costruzione di sentimenti e relazioni: in questa narrazione le piante si arricchiscono di sfumature “new age” diventando portatrici di doti taumaturgiche e di benefici psicofisici. È il potere del verde.

In questo contesto si pone un dibattito che vede contrapposti divulgatori e ricercatori con competenze diverse: le piante sono intelligenti? Google indica decine di titoli di libri sull’argomento, che spaziano dalla vita segreta delle piante, alla loro sensibilità, alla loro capacità di avere intenzionalità e memoria, identificando anche una nuova disciplina, la neurobiologia delle piante illustrata in un saggio da Brenner e colleghi nel 2006. Alcuni di questi libri introducono elementi estremi: le piante non solo apprendono, ma anche “parlano” all’essere umano facendo rivivere elementi di un vitalismo/animismo arcaico.

 

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A cura di Paola Bonfante